Parigi a Natale è un bacio caldo sul collo gelato dell'inverno. Un istante - e già per questo profondo e denso - affollato di atomi ardenti che si battono contro un muro ostile di vita color cemento. Questo è quello che pensa Giacomo scendendo rapidamente in bicicletta per la via. Sì, scendendo, perché arrivato a Parigi mai si sarebbe immaginato che avrebbe dovuto fare i conti con una città che piatta non è. Perfide pendenze ciottolate, lunghi falsipiani, tornanti nervosi scavati per appropriarsi delle colline smozzicate dalle abitazioni, scalinate che sfidano la prospettiva e che paiono mai terminare.
Giacomo in effetti non riesce a pensare tutto questo lucidamente, preso com'è a mantenere l'equilibrio sulla strada bagnata, evitare i cassonetti dell'immondizia e loro relativo contenuto che tracima sulla pista ciclabile, anticipare le mosse dei pedoni che, ancor più dell'immondizia, occupano impropriamente e senza preavviso legale lo spazio vitale dei ciclisti. Nessuna intelligenza artificiale supererebbe il test del ciclista a Parigi. Sfido Elon Musk a uscirne senza graffi, elabora tra sé compiaciuto dopo un millimetrico scarto tra turista con occhiali da sole nonostante siano passate già due ore dal tramonto e adolescente indigeno convinto che gli auricolari propaganti del pessimo rap marsigliese creino un metaverso d’immortalità.
Si ferma a un semaforo. Rifiata. Le vetrine sono al loro massimo di desiderabilità. Gli allestimenti, sempre eleganti e mai banali in questa città, assumono a dicembre uno statuto d'arte. Per Giacomo, torinese della cintura, tutto questo è la guarnitura perfetta per una città che ha fatto del lusso il suo alimento quotidiano.
In una boulangerie, due ragazze ridono sedute ad un tavolino dividendosi una millefeuille. Detestabili i tavolini rotondi dei bar e delle brasserie parigine: piccoli per massimizzare lo spazio, troppo piccoli per accogliere più di due tazzine di caffè senza rischio di tragedia. Giacomo accenna un sorriso al loro indirizzo, mal interpretando uno sguardo della più bella delle due. Gli piacerebbe molto che il suo sorriso arrivasse fino a loro. Scambiare calore, fiato per fiato, dover aggiungere un altro tavolino alla loro vita. Riflette sul fatto che Parigi è una bella donna che conosci ma che quanto ti incontra non ti abbraccia, ti passa accanto, ti sorride con la sicurezza matura di chi ha un posto in cui stare e ti volge le spalle, lasciandoti da solo con l'intuizione acre che nulla di serio sarebbe potuto accadere tra voi. Quelle due ragazze sono Parigi e Parigi è quelle due ragazze.
Qualcuno suona spazientito alle sue spalle, facendolo ripiombare sulla modestia del Pianeta Terra. Riparte più lento, respirando. Si chiede perché andasse così veloce prima, rischiando di regalare arti ai sapeurs-pompiers.
La giornata operativa si è conclusa ormai, ora si può rientrare a casa, dove ci sarà la cena, il vino certamente e una buona dose di canapè ma si darà a tutto questo non prima d’aver goduto a pieno di quello che è il momento che preferisce. Quell'intervallo di spazio-tempo, espandibile a piacere, in cui a suo parere Parigi risplende ancor più nitidamente, situato tra la fine della giornata lavorativa e l'inizio del tempo dedicato a sé. Quel momento in cui persone e città si trasformano in sincrono per creare le migliori condizioni di agio e oblio. La fretta con cui le persone si muovono durante questo lasso di quotidiano non è animata dall'ansia del tardi come nel resto del giorno. Le scale della metro sono ugualmente intasate, i semafori non vengono comunque rispettati, il passo veloce apparentemente è un tratto endemico di chi vive la città. Ma invero sotto gli stessi guanti c'è una diversa pulsione, questa volta orientata a godere del vivere, uno slancio verso l'altro - amici, parenti, affetti - che dona senso e ricompensa. La città del mattino, fredda e funzionale, si ammorbidisce per fare spazio alla sua versione accogliente. La luce glaciale dell'alba sfonda dopo pranzo lo spettro dei colori e ritrova una tinta arancio Aperol Spritz che prepara gli animi al tramonto della giornata.
E Giacomo, tutto questo lo fa liquefare, genuinamente orgoglioso di esserne spettatore: intravedere a distanza il sorriso che si apre sul volto di una donna quando riconosce il suo uomo che l'ha raggiunta, ascoltare i gridolini e gli applausi scomposti di giovani che si ritrovano per un verre, seguire il passo di chi, con mille borse di cartone in mano, sta sicuramente, sicuramente, tornando verso il proprio nido.
È arrivato senza accorgersene sotto casa. Scavalla dalla bici, si avvicina al portone, si sente leggermente sudato sotto il casco. Che bella che è Parigi a Natale, pensa, e così dicendo dà inizio alla sua serata.
Parigi a Natale è un cosmo stellato nel palmo della mano, pensa Alice. Non è semplicemente una stella di grandi dimensioni a cui tutti gli altri oggetti spaziali rivolgono lo sguardo rapiti, esempio e centro gravitazionale. È una galassia tutta propria, con decine di stelle, sistemi, pianeti, gas e polveri.
E le luci sono il vero trucco di questo universo: ovunque ci si ritrova circonfusi di scintille potenti e delicate, che si sposano signorilmente con edifici e passanti.
Zaino antipioggia sulle spalle, borsetta d’ordinanza a tracolla, cappello di velluto per un personale vezzo vintage, Alice cammina sostenuta e attenta. Lei, torinese della Crosëtta, sa che le città vanno conosciute a piedi. Vanno letteralmente pestate. Sguardo alto, occhi rivolti ai nomi delle vie e ai soffitti affrescati dei palazzi del centro, lei conosce gli odori delle strade, distingue gli strati olfattivi che i differenti passaggi umani, animali e meccanici affastellano nell’arco del giorno.
A quest’ora della giornata - quella che in televisione definirebbero il preserale -, le automobili hanno fortemente segnato l’aria con il loro carico di polveri e scarichi. I ristoranti e i bar hanno consegnato ai mezzi dell’immondizia i resti del pranzo, contagiando i polmoni delle vie di sughi e verdure. Qualche spazzatrice si commiata elargendo dietro di sé aloni d’acqua e detersivo. Dalle boulangerie si avverte il bruciato delle ultime baguette rimaste, lontano parente del caldo croccante del mattino. I buoni profumi che escono dalle Galeries si ritraggono di fronte all’aria frizzante di dicembre e si riparano pigri all’interno degli stand, non riuscendo a contagiare il marciapiede. Qualche cappuccino e qualche cioccolata calda, fuori orario per ogni persona di buon senso, sono serviti all’esterno per gli avventori più audaci, rigorosamente rivolti fronte strada, le sedie tutte parallele in due, tre, quattro file.
Appena arrivata a Parigi, eccitata per tutto e curiosa di tutto, questa esibizione, questo mettersi in mostra la infastidiva parecchio. Considerava volgare – e quindi non parigino – la sola idea di esporsi, considerarsi merce e chiedere di essere contemplati. Pudore sabaudo, forse. La scosse ancor più lo scoprire che non si trattava di pacchianeria turistica ma di un vero costume locale. Tutti i parigini e loro emuli adorano mettersi naso alla strada, all’aperto, dodici mesi l’anno. Le ci volle qualche tempo per dare un senso a questa pratica, interiorizzarla e farsene addirittura complice. Ma certo: le persone sedute alle brasserie non sono i protagonisti in scena ma sono gli spettatori, seduti in fila come al cinema! È Parigi lo spettacolo, con le sue strade piene, i tetti, i neon e nessuno vuole perdersene un secondo, illudendosi di esserne parte. Parigi è uno schermo in cui senza sosta si crea e si anima uno spettacolo in vita.
Sbuca finalmente su uno dei grandi boulevard. Ha bisogno di ossigeno dopo tutta questa materia umana. Gli alberi si mascherano dietro le illuminazioni e le pubblicità, consapevoli di dover lasciare spazio – loro, comprimari – ai protagonisti della vita urbana, ma su questi grandi viali ritrovano orgoglio e spingono, si tendono con i loro rami verso l’alto e il centro, cercando luce e una direzione di crescita. Alice sa riconoscerli perché suo nonno, taglialegna delle valli torinesi, la portava in estate nei boschi e le spiegava, l’educava ad ammirare. Lei non lo sa ma c’è molto di suo nonno – oltre agli stessi occhi azzurro cielo - nello sguardo di rispetto e meraviglia che ora lei dedica a quei platani, a quei tigli, a quegli ippocastani parigini.
Due rampe di scale, toglie il cappello, i guanti - le mani comunque fredde, e così facendo dà inizio alla sua serata.
- - Ciao, sei arrivato?
- - Ciao amore.
- - Traffico in bici?
- - Lo sai che detesto questa città.
Lei si volge verso di lui giusto in tempo per vedere il bianco dei denti lasciato visibile dal sorriso sornione di lui.
- - Sei andata all’Esselunga?
- - No, c’era troppa gente, vado domani mattina.
Un lapsus dei primi giorni da migranti si era trasformato in uno scherzo sempre più ricco. Rimappare i luoghi delle loro due città, ricalcare abitudini, lanciarsi in paragoni audaci. E così il Bois de Boulogne era diventato il Valentino, Montmartre era Superga, La Defense il Lingotto, Les Invalides chiaramente la Mole, la pizzeria sotto casa nominata come la pizzeria dove avevano cenato insieme per la prima volta.
- - Allora hai deciso cosa facciamo a Natale? – riprende Alice
- - Ci alziamo, facciamo colazione, andiamo a Messa e poi pranzo e..
- - Dai, seriamente.
- - Ma faremo davvero così.
- - Sì, ma dove? A Parigi o a casa?
- - Credevo fosse qui ‘casa’.
- - Così non aiuti però.
Alice guarda di sottecchi Giacomo che cincischia con il soprabito. Non sorride. L’argomento evidentemente non lo lascia indifferente.
Entrambi ripensano istintivamente alle belle sensazioni provate pochi minuti prima. Quel senso di fortuna d’essere qui, non importa poi se protagonisti o spettatori. Il brivido giovanile di sentirsi in qualcosa di grande. Entrambi sono coscienti che le loro storie hanno un “prima di Parigi” e avranno un “dopo di Parigi” e non è possibile rimanere concentrati solo sull’adesso, come vorrebbero. Il loro prima si chiama Italia, si chiama Torino, vuol dire parenti sempre più distanti e amici sempre meno quotidiani. Il loro dopo si chiama buco nero: l’argomento risucchia tempo ed energia senza via d’uscita. Impossibile ad oggi capire cosa ne sarà di loro fra tre o quattro anni. Nel frattempo, nonostante il loro ottimo francese e la conoscenza maniacale della geografia cittadina, restano due stranieri, ospiti autoinvitatisi al banchetto.
È una domanda che viene loro posta in continuazione: ci si sente sempre e comunque stranieri in una città così? Alice si sentiva straniera anche nella sua Torino. Lei in cerca di intimità laddove trovava solo formalità. Lei disponibile a fondersi, incontrando invece solo distanze. Lei si sente meno straniera qua che in corso Vittorio. Quando interrogata, risponde che tutti sono stranieri in una città così grande. Giacomo no, lui è un animale sociale, adatto e adattabile ad ogni contesto. Intelligenza relazionale, dice di sé. Scarsa capacità di critica sociale, ritiene Alice. Se interrogato, risponde che straniero si sente chi non è capace di aprirsi.
La situazione in casa resta bloccata. Serve una donna per uscirne. Lei si avvicina, gli dà un bacio in testa e si avvia verso la cucina. Lui, ripresosi, risvolta finalmente la manica del soprabito e la raggiunge.
Può Parigi essere un problema? Per gli stranieri migranti che arrivano da un Paese troppo vicino, lo può essere. Troppo bella per andarsene via proprio in quel periodo, troppo esclusiva per invitare tutti i parenti lontani a goderne insieme l’eleganza.
Giacomo continua a cucinare da dove Alice ha interrotto per spostarsi in camera, cambiarsi per poi ritornare. Giacomo è già più sereno; non hanno risolto ancora nulla ma l’aria in casa si fa più distesa.
- - Hai ragione tu – inizia Alice
- - Quanto mi viene a costare questa affermazione?
- - Intendo che anch’io sto bene dove stiamo bene io e te.
- - E a Parigi ancora di più.
- - Si, è vero, a Parigi ancora di più.
Alice sa che questo è uno di quei momenti in cui si lascia trascinare dalla positiva semplicità del suo uomo, il quale schiettamente vede solo il meglio delle situazioni e le riesce a vivere. Quante volte lei vorrebbe non vedere gli intralci. Parigi a Natale è anche questo, fare pace con sé stessi e crearsi un angolo di felicità da difendere.
Si rigira per casa mentre gli odori sui fuochi crescono d’intensità. Il maglione pesante sta facendo il suo doppio mestiere di medicina e rifugio. Pensa ancora una volta alla follia lucida con la quale hanno deciso di venire qui. Che matti che siamo stati. Eppure, non riuscirebbe a vedersi in nessuna altra parte del mondo adesso. Parigi li ha animati, torniti, cooptati. Stende la tovaglia e porta meccanicamente alle labbra il bicchiere che Giacomo le ha preparato. Si avvicina alla finestra, incuriosita da un rumore. Che bella che è Parigi a Natale, pensa.